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Carlo Ferrara, un “salto” nel surrealismo

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“Mi piace da matti parlare di fotografia con altri appassionati”, esordisce così Carlo Ferrara ospite del Gruppo per una serata di presentazione della sua produzione e visione fotografica.

Carlo viene dalla provincia di Alessandria ed ha iniziato a fotografare nel 2007 dopo un corso base. Come spesso accade, sperimenta diversi generi fotografici per migliorare la tecnica e capire in quale direzione andare. Benedetto fu un commento tranchant ricevuto su un social sotto una sua immagine: “Non tutto ciò che impressioniamo può chiamarsi fotografia” perché, passato il primo momento di perplessità, la frase è diventata stimolo di riflessione per migliorare e chiarire le idee. Osservare ciò che si fotografa e porsi domande sul perché ci piace fotografare in un certo modo, aiuta sicuramente ad acquisire consapevolezza sulla strada da intraprendere.

Innamorato dell’urbex, Carlo va alla scoperta dei tanti luoghi abbandonati della provincia alessandrina. Le luci, le ombre e le atmosfere trovate diventano il set perfetto per i suoi scatti. È così che Carlo incomincia a produrre degli autoritratti ambientati rigorosamente in bianco e nero, vestendo sempre nella stessa maniera. Un pantalone, una camicia e un cappello sono gli abiti indossati da un “omino” presente in tutte le sue fotografie. Quando Carlo veste quei panni, diventa un’altra persona che è interprete, strumento, attore e regista di ogni scatto.

Con le fotografie realizzate nelle location urbex, Carlo Ferrara produce ben due libri, “Sei giorni” e “Quattro brevi storie”, per poi uscire allo scoperto, rapportarsi con il mondo e scrivere con la fotografia altri due libri, “Confine” e “Nessuno è Peter Pan”. I suoi libri hanno un approccio minimalista con una grafica pulita ed elegante. Carlo è prodigo di parole (la passione fa anche questo effetto e ci piace molto), ma trova il dono della sintesi all’interno dei suoi libri raccontando l’essenziale con poche immagini. Ogni fotografia vive di vita propria, ma la sequenza scelta contribuisce a creare e rafforzare il racconto della storia.

Il cammino di consapevolezza è tracciato e l’anima surrealista di Carlo è ormai palese. Ispirato da Rodney Smith, il nostro ospite studia i grandi autori surrealisti non solo in campo fotografico e l’approfondimento fornisce spunti al suo lavoro.

Entrano nella sua produzione elementi ricorrenti che diventano simboli e metafore. Il salto, i segni, le cornici, le ombre sono gli strumenti con cui Carlo interagisce, racconta, lavora e sviluppa i concetti che vuole esprimere.

Guardando il surrealismo delle immagini di Ferrara ci affacciamo su mondi paralleli diversi da ciò che è materialmente visibile e ci scateniamo sulle possibili diverse letture che ogni fotografia ci prospetta. Il pubblico in sala dice la sua e condivide la propria interpretazione dando vita ad una visione caleidoscopica di ogni immagine.

La serata termina “per aria”. Carlo sta incominciando a produrre fotografie con un drone, quindi cambio di prospettiva e l’omino con il cappello viene ritratto in situazioni surreali ed in relazione con segni e linee del terreno.

Tra salti, simboli di gioia e di sospensione, segni, simboli delle tracce che l’uomo vuol lasciare, cornici, simboli di separazione tra mondo interiore ed esteriore, ringraziamo Carlo per averci portato alla scoperta del suo mondo e della sua visione sempre alla ricerca di un equilibrio tra reale e surreale.

A presto!

Testo di Paola Zuliani (foto in sala di Carlo Mogavero e Francesca Gilardi)