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  • Blow Up:  “da quel punto di vista, e quant’altro”
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Blow Up: “da quel punto di vista, e quant’altro”

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La vita dei circoli amatoriali di fotografia, di norma, è scandita da serate fatte di incontri tra i soci, dove a seconda dell’ospite o del socio o dei soci che si mettono in gioco, vengono proiettate delle foto o dei portfolio da cui scaturisce poi un dibattito fatto di curiosità su quella o l’atra foto, del significato o dalla motivazione di quella immagine. Fortunatamente, nel nostro circolo abbiamo superato la fase della classica domanda: che ottica hai usato, i tempi di scatto e “quant’altro da quel punto di vista”.

Ma credo che non sia quasi mai capitato nei circoli fotografici, durante una serata di incontri con i soci, di esaminare un film (previa visione da parte dei  soci nei giorni precedenti) consigliatoci dal nostro Claudio Marra, dove la fotografia ne è la protagonista velata e da qui iniziare un dibattito che coinvolgesse gran parte dei presenti, stile cineforum.

Il film in questione è Blow Up di Michelangelo Antonioni del 1966, pellicola diventata una icona “da quel punto di vista” di appassionati di fotografia che ha cambiato il modo di percepirla e dei giovani dell’epoca, in generale, in quanto ha rappresentato il volano di quello che fu il grande cambiamento generazionale dell’68.

Tralascerei la trama del film , che ovviamente non sto qui a ricordare per non dilungarmi e annoiarvi, in quanto “dal quel punto di vista“ già brillantemente fatto dal nostro presidente Riccardo Rebora durante la serata (per chi l’avesse perso consiglio di vederlo o rivedersi la registrazione delle serata).

Il dibattito scaturito dopo l’introduzione di Riccardo, si è focalizzato su come la fotografia, protagonista principale del film, con risvolti noir, viene vista e considerata, fino a cambiare il vissuto che ben si differenzia dal percepito, “e quant’altro, da quel punto di vista”.

Il protagonista Thomas attraverso vari ingrandimenti (appunto la tecnica del blow up usata in camera oscura) va alla ricerca di una verità da lui percepita, ma la fotografia stessa, spesso usata per rappresentare la realtà, si dimostra traditrice in quanto prima lo illude e poi lo delude.

Ma la fotografia, allora è o può essere considerata semplice testimone della realtà?

Forse proprio per questo aspetto può essere usata anche per alterarla, manipolarla e far passare il messaggio che si vuole, e “da questo punto di vista” i fatti di questi giorni ce lo dimostrano. Si sta riscrivendo la storia e la verità sta, come sempre, dalla parte di chi la scrive.

La certezza che la fotografia sia sinonimo di verità lo si può ricercare in quello che per anni è stato fatto, e stanno ancora facendo, i fotoreporter sugli scenari di guerra o da fotografi di cronaca o semplicemente dai paparazzi che testimoniano la realtà e in base al taglio che viene fatto di una immagine si può far passare una interpretazione di essa. Ciò accade perché la nostra è una società ossessionata dalla verità, che ricerchiamo attraverso delle immagini e la fotografia ne rappresenta lo strumento più veloce e immediato.

Però oggi, perlomeno, con tutti i mezzi di comunicazione a disposizione “da quel punto di vista” la verità la possiamo ricercare apparentemente più rapidamente. Andando già a fondo anche noi stessi, prestando attenzione, in alcuni casi ricerchiamo la verità che più piace o ci soddisfa.

Da come si può notare la pellicola di Blow Up ci pone dinanzi a diverse riflessioni e considerazioni e lo stesso Michelangelo Antonioni durante un’intervista ammette che: la realtà è sfuggente e mente in modo costante, e lui stesso non crede in ciò che vede, in quanto quello che può essere vero un attimo prima non lo è subito dopo.

Per cui partendo da pittori, registi o fotoreporter fino ad arrivare ai semplici osservatori del mondo, non riusciremo mai a cogliere quello che è il vero senso della realtà ma: tutto è il contrario di tutto, a prescindere dal mezzo che si usa “da quel punto di vista”.

Molto interessanti e costruttivi alla fine della “piccola” introduzione da parte di Riccardo, rivestendo i panni del grande Gianluigi Rondi, (noto critico cinematografico di quegli anni che qualcuno non giovanissimo ricorderà) sono stati gli scambi di opinioni tra i soci, ricco di spunti e riflessioni e a tener vivo e attuale il film che, ricordiamo siamo nel 1966, sono le molteplici chiavi di lettura, fermo restando che per chi è appassionato di fotografia rappresenta sempre un punto chiave in quello che è un po’ tutto il percorso formativo di chi vive la fotografia sia professionale che amatoriale.

“Da quel punto di vista” la serata è stata interessante e molto apprezzata dai soci e credo che ne verranno organizzate altre. Circolavano , per l’appunto, titoli di altri film da poter vedere e commentare tutti insieme e “quant’altro punto di vista, da quel vistamente altro punto, dal vista punto quant’altramente etc…” 

(scusate ho perso un po’ il controllo e quant’altro)

Vorrei chiudere con un’altra riflessione: La reazione provocata dal guardare è più forte di quella provocata dal sapere?  (O. Toscani)

 

Ps: l’uso massiccio in questo articolo di “quant’altro e da quel punto di vista” non hanno recato ulteriore danno alla già vituperata lingua Italiana, in quanto, l’uso è avvenuto sotto stretto controllo dell’Accademia del miglio e certificato dal nostro Presidente.

( Testo di Antonio Di Napoli)