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  • Intervista con Marco Donatiello
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Intervista con Marco Donatiello

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"Non è la mera fotografia che mi interessa. Quel che voglio è catturare quel minuto, parte di realtà.“ Henri Cartier-Bresson

Penso che questo sia stato il pensiero che più ha caratterizzato il percorso fotografico di Marco Donatiello che si è specializzato in fotografia d’impresa e reportage volta a raccontare la realtà, usando la macchina fotografica come mezzo per divulgarla.

La figura del nostro ospite di mercoledì è stata presentata da Riccardo Rebora (felicemente munito di cartellina originale da vero presentatore, magari portata da Babbo Natale) che, da par suo, ha introdotto e fatto raccontare, con domande dirette in modo esaustivo, il percorso professionale di Marco.

Lui inizia a fotografare negli ultimi anni di università, dove si laurea in psicologia e da qui si capisce perché si appassiona alla fotografia di reportage, in cui il soggetto principale è sempre l’uomo ripreso in tutte le sue sfaccettature dell’anima. Infatti, la fotografia di Marco è un mix perfetto di arte e leggerezza, dove, per leggerezza, intendo il saper avvicinarsi ai soggetti protagonisti dei suoi scatti, in modo quasi invisibile, dopo aver creato con loro un transfert positivo. Si intuisce così il lavoro fatto a monte da Marco prima di iniziare a scattare, perché alla fine è il soggetto stesso che nella sua umana naturalezza si pone nella condizione di essere ripreso, all’interno della storia.

Il primo lavoro che Marco ci ha presentato è “Tra mare e Cielo- Vita quotidiana di una antica comunità claustrale” sulle suore di clausura, di Santa Chiara di Porto Maurizio, raccontandoci con le immagini la vita nel convento. Ho apprezzato questo lavoro in quanto ha ritratto le suore di clausura, soggetto non facile, con cui molti fotografi non sono riusciti, restituendo una immagine della vita monastica cupa e piena di privazioni, e appunto Marco ha saputo far venir fuori un aspetto sereno leggibile sui volti e nelle attività quotidiane delle monache.

Si cambia nettamente soggetto, quando nella visione successiva si parla di musica con un lavoro sul premio Tenco, che Marco segue da anni. Infine ritorniamo nuovamente nel sociale con una documentazione eseguita per Libera sulla lotta alle Mafie associazione che prende inizio con l’opera di Don Ciotti e Marco vi collabora dal 2005.

Ancora si prosegue con il lavoro Il Campo delle Gianchette, che prende il nome da un quartiere alla periferia di Ventimiglia dove si trovava un campo profughi gestito dalla Caritas che ospitava minori non accompagnati e famiglie con bambini piccoli. Nell’ambito dei campi profughi questo delle Gianchette rappresentava un’isola felice in quanto era un’area protetta accessibile solo ai residenti e nascondeva il dramma dell’essere profugo e della transumanza per raggiungere mete più proficue per il loro futuro. Anche in questo caso la sorprendente abilità di Marco Donatiello di farsi accettare e rendersi invisibile, mentre scatta ritraendo gli ospiti del campo in spaccati di vita quotidiana restituendo loro una dignità umana rara in situazioni del genere.

Molte le domande e le discussioni su quello che Marco ci ha mostrato e sul modo di lavorare, che come detto all’inizio scaturisce dalla sua formazione universitaria e molto anche dalla sua sensibilità.

Non dimentichiamo che Marco è stato per anni socio del circolo La Mole ricoprendo il ruolo di direttore artistico, tenendo corsi su diversi temi della fotografia, arricchendo il bagaglio tecnico pratico dei soci, dove i punti cardini erano e sono: tecnica, messaggio da trasmettere con le immagini e editing, inteso come sequenze di foto per dare forza alla storia.

Per comprendere meglio il modo di far reportage di Marco Donatiello dove cerca di anticipare gli eventi per raccontare una storia vorrei sintetizzare con una frase di Bob Marley “ Io annuso la pioggia, non mi accorgo di essere bagnato”.

(Testo di Antonio Di Napoli)