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Una giornata con Gianni Berengo Gardin

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"La fotografia é stata per me la benzina che mi ha fatto andare avanti": inizia cosi la lectio magistralis di Gianni Berengo Gardin.

Sala gremita di occhi per vedere i suoi lavori e orecchie pronte ad ascoltare le storie e gli aneddoti di quegli scatti, così noti, ma sempre nuovi ogni volta che li si guarda.

Parla con l'umiltà e la semplicità delle Grandi Persone: si racconta e si mette in gioco.
E non si risparmia: oltre quattro ore, tra mattino e pomeriggio, per vedere alcuni dei suoi progetti più noti, dal 1954 al 2013, con commenti e aneddoti sulle sue immagini che hanno fatto un po' la storia della fotografia italiana, visto che é stato soprannominato dalla Critica del settore l'"Henry Cartier-Bresson italiano": "Mi lusinga, ma mi sento più il Willy Ronis italiano", ci tiene a precisare il Maestro.
E confessa che il Padre della Street, una volta, gli dedicò un libro "con amicizia, affetto e ammirazione": "Essere ammirato da Bresson non può che farmi piacere!".


Entra nel dettaglio di alcuni progetti: "Venezia", città a cui GBG deve molto in termini affettivi, "Parigi", "Morire di classe" (libro-denuncia sulle condizioni in cuo versavano gli ammalati ricoverati nei manicomi, prima dell'arrivo di Franco Basaglia), "Luzzara", lavoro nato dalla collaborazione con lo sceneggiatore Cesare Zavattini per raccontare la vita reale nell'omonimo paese dopo vent'anni dalla pubblicazione del volume incentrato aullo stesso tema e pubblicato da Paul Strand.
Seguono "Dentro le case" e "Dentro il lavoro": due libri documentaristici delle classi sociali del periodo, anche se uno dei progetti più completi e al quale lui é più legato si intitola: "La disperata allegria", che racconta della stima profonda che lo lega al mondo degli zingari, così ricchi di cultura e così capaci di trasmettere quel senso di "allegria" pur nelle difficili condizioni di vita.


GBG parla, poi, del suo incontro con Ugo Mulas e di come, quando era ancora poco più che un ragazzo, nel di lui studio, avesse espresso, più volte il commento "Che bella foto!", per essere poi tacciato dallo stesso Mulas: "Una bella foto é una fotografia che è tecnicamente perfetta, ma che non racconta moltissimo. Una buona foto é una foto che funziona da sola, che racconta qualcosa e sa emozionare per questo". E si schernisce compiaciuto, fiero dei suoi 250 libri pubblicati: "Ho sempre cercato di fare foto buone, ma ne ho fatte tante belle!".